Cos’è lo studio PARAMEDIC2?
Lo studio è un cosiddetto “trial randomizzato controllato” (RCT) cioè uno protocollo sperimentale che garantisce la massima qualità scientifica riconosciuta. Questo studio si è reso necessario per confermare dati provenienti da studi precedenti la cui qualità sperimentale era inferiore. Per ottenere dati di alta qualità è necessario confrontare un trattamento considerato tradizionale con un trattamento alternativo o con un placebo (cioè una sostanza inerte che viene somministrata dall’operatore senza che egli sappia se stia somministrando il farmaco o il placebo) in due gruppi omogenei di pazienti (gruppo di studio e gruppo di controllo) che vengono destinati ai due trattamenti in maniera del tutto casuale. Questa modalità sperimentale permette di ridurre al minimo i possibili errori di valutazione dei risultati e l’influenza che il tipo di trattamento può esercitare su chi lo gestisce. In questo caso il trattamento tradizionale da valutare è stato la somministrazione di adrenalina durante rianimazione cardiopolmonare avanzata (ALS) alla dose di 1 mg ogni 3-5 minuti per via endovenosa, appena possibile in caso di arresto cardiaco (AC) associato a ritmi non defibrillabili e dopo il terzo tentativo di shock in caso di ritmi defibrillabili refrattari alla defibrillazione.
Come è stato eseguito?
Nel Regno Unito è stato possibile ideare e realizzare questo studio nonostante problemi etici non facili da risolvere. Infatti, accettando di confrontare l’effetto della somministrazione di adrenalina con un placebo si è anche accettato di privare circa la metà dei pazienti arruolati (quelli confluiti nel gruppo di controllo in cui il trattamento era costituito dal placebo) di un trattamento tradizionalmente usato nella RCP avanzata, cioè la somministrazione di adrenalina. Questa decisione è stata possibile grazie all’analisi di dati precedenti provenienti da altri studi meno dirimenti che però avevano già messo in discussione l’utilità dell’adrenalina in termini di sopravvivenza nel lungo periodo (oltre il primo mese dopo l’AC).
Inoltre, il sistema sanitario territoriale britannico, ha permesso di rendere la somministrazione di adrenalina la più precoce possibile perché nel Regno Unito, in particolari condizioni cliniche del paziente, la somministrazione di farmaci è autorizzata anche al personale specificamente formato ma non medico (i cosiddetti “paramedici”) presente sulle ambulanze che raggiungono la vittima prima di quanto possano fare i mezzi con medico a bordo, meno numerosi.
Chi è stato coinvolto?
In circa due anni, attraverso cinque servizi di emergenza territoriale del Regno Unito, sono stati arruolati 8016 pazienti vittime di arresto cardiaco avvenuto al di fuori dell’ospedale (AC extraospedaliero); un tale campione è considerato sufficientemente numeroso da ben rappresentare l’intera popolazione formata dalle vittime di AC extraospedaliero e quindi rende lo studio particolarmente significativo.
L’età media dei pazienti è risultata essere di 69 anni e per il 65% erano maschi. Dal punto di vista epidemiologico, lo studio ha confermato informazioni già note: il 75% degli AC è avvenuto in casa, il 20% in luoghi pubblici, l’1% sul posto di lavoro della vittima e il restante 4% in altri luoghi. In oltre il 90% dei casi, l’AC aveva avuto cause mediche e non traumatiche o asfittiche.
Al momento dell’arrivo dell’ambulanza circa il 79% dei pazienti presentava un ritmo non defibrillabile rispetto al 20% con ritmi defibrillabili. In quasi il 60% dei pazienti, gli astanti avevano già iniziato la RCP.
I pazienti sono stati arruolati se non rispondevano precocemente alla rianimazione cardiopolmonare di base (BLSD) che comprende compressioni toraciche, ventilazioni di soccorso e defibrillazione precoce. Questo vuol dire che i pazienti che hanno ripreso una circolazione spontanea prima dell’inizio della RCP avanzata (ALS) che comprende anche la somministrazione di farmaci, non compaiono nello studio.
Cosa è successo ai pazienti dopo l’arruolamento?
Il tempo mediano di intervento dell’ambulanza è stato di 6.6 minuti in entrambi i gruppi. Nel gruppo trattato con adrenalina, la proporzione di pazienti che hanno avuto ritorno di circolazione spontanea è stata più alta (36.3% contro 11.7% nel gruppo del placebo) e conseguentemente anche il numero di pazienti trasportati in ospedale è stato più alto in questi gruppo (50.8% contro 30.7%). Il gruppo in cui è stata utilizzata l’adrenalina ne ha ricevuto una media di 5 mg. Le differenze più importanti perché statisticamente significative (cioè sufficientemente grandi da non essere attribuibili al caso) sono state due: chi aveva ricevuto adrenalina ha dimostrato di avere una sopravvivenza più alta a trenta giorni dalla ripresa di circolazione dopo AC (3.2% contro 2.4%, circa un terzo di più) ma, poiché ha anche avuto quasi il doppio di alterazioni neurologiche gravi al momento della dimissione dall’ospedale (31% contro 17.8%), non ha dimostrato differenze sostanziali nella proporzione di pazienti dimessi dall’ospedale in buone condizioni neurologiche. Volendo usare lo slogan che ha accompagnato la pubblicazione dello studio, sembrerebbe che “l’adrenalina può far ripartire il cuore ma non fa bene al cervello”. Complessivamente, il 41% delle vittime è stato trasportato in ospedale ma solo il 2.7% è sopravvissuto ed è stato dimesso dall’ospedale; questo basso numero è anche dovuto al fatto che nello studio non compaiono i pazienti che hanno risposto alla fase di BLSD prima della necessità di somministrare farmaci.
Cosa sapevamo già e cosa ci dice di nuovo questo studio?
Era già noto che l’adrenalina aumentasse la possibilità di ripresa di circolazione spontanea senza migliorare però la prognosi a lungo termine. Lo studio conferma queste evidenze precedenti e le rinforza attraverso un disegno sperimentale più affidabile e rigoroso.
I dati dello studio ci permettono almeno altre due considerazioni. La prima si basa su una valutazione statistica importante: per capire meglio quando sia importante un trattamento si valuta quale sia il numero di pazienti da trattare per avere il beneficio desiderato. In questo studio il numero di pazienti da trattare con l’adrenalina per salvare una vita in più è pari a 112. Questo è un numero molto alto e lo si capisce meglio se lo si confronta con l’effetto determinato dagli interventi che costituiscono la fase del BLSD, cioè quella prima dell’arrivo dell’ambulanza: il riconoscimento precoce dell’AC salva una vita ogni 11 pazienti in cui questo intervento viene applicato, la RCP eseguita dagli astanti ne salva 1 ogni 15 e la defibrillazione precoce 1 ogni 5. Questi numeri impressionanti confermano come per salvare la vita di una vittima di AC la partita si giochi nei primi minuti e grazie all’intervento di chi le è più prossimo, chiunque egli sia, mentre il trattamento avanzato, affidato ai sanitari, gioca un ruolo estremamente più basso.
La seconda considerazione è che lo studio sottolinea come gli attuali trattamenti mantengano una certa efficacia nel far ripartire il cuore e ripristinare la circolazione; tuttavia sono ancora pochi gli strumenti terapeutici che ci permettono di influire sulla fase successiva al ritorno della circolazione. Il controllo dei processi fisiopatologici che determinano il danno cerebrale nella fase cosiddetta Post ROSC rimane ancora poco efficace. Molto si deve ancora fare per garantire l’applicazione di quello che già sappiamo avere un ruolo in questa fase, come il controllo della temperatura corporea, e per comprendere e migliorare ciò che può aiutare il cervello a recuperare dalla fase di anossia dovuta all’AC.
Cosa cambia nella pratica?
I risultati dello studio ci dicono che l’adrenalina permette a un numero superiore di pazienti di sopravvivere a trenta giorni dall’evento ma che in questo gruppo il numero di pazienti in condizioni neurologiche molto compromesse è più grande. I risultati dello studio però non chiariscono se le peggiori condizioni neurologiche siano direttamente collegate all’adrenalina attraverso meccanismi poco conosciuti o siano invece imputabili ad altri fattori. È noto come nell’opinione pubblica venga attribuito un grande valore alla qualità di vita, oltre che alla mera sopravvivenza. La comunità scientifica, attraverso i suoi organi di confronto (in particolare ILCOR, cioè l’International Liaison Committee on Resuscitation, che riunisce tutti gli esperti mondiali nel campo della Rianimazione Cardiopolmonare e che esprime le raccomandazioni sul trattamento basate sulle evidenze scientifiche esistenti), è chiamata nei prossimi mesi a valutare se e come questo studio possa modificare i protocolli di trattamento attualmente raccomandati. Non sarà facile prendere una decisione.
Italian Resuscitation al momento non consiglia nessun cambiamento di
raccomandazione nell’utilizzo dell’adrenalina.
Il Consiglio Direttivo IRC ha prodotto la traduzione in italiano del paper disponibile di seguito:
Trial randomizzato sull’adrenalina nell’arresto cardiaco post-ospedaliero
Per approfondimenti suggeriamo i link che seguono:
https://warwick.ac.uk/fac/med/research/ctu/trials/critical/paramedic2/results/
https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa1806842
http://www.ilcor.org/news/news-archive/ilcor-statement-regarding-publication-of-the-paramedic2-trial
https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMe1808255?query=recirc_curatedRelated_article